LA CASA DI BERNARDA E ALBA (1999)

Prima Nazionale Festival ProvocAzione Teatro anno III
Diretto da RUGGERO CAPPUCCIO

presenta

“La casa di Bernarda e Alba”
Rielaborazione di
Gea Martire

Progetto a cura di
Ruggero Cappuccio

Con
Gea Martire
Nadia Baldi
Anna Contieri
Gina Ferri
Sabrina Ferri
Paola Greco
Annamaria Senatore

Musiche e coordinamento musicale
Paolo Vivaldi
Aiuto regia
Marcella Porpora
Costumi
Sasà Salzano
Luci
Lello Falcone
Immagini diaproiettate
Livia Cannella

Dove fugge la mente di una donna imprigionata quando la sua prigione non è luogo di punizione ma l’esasperata applicazione di regole sociali e culturali che la vogliono oggetto di impietosi giudizi morali? E del resto, quale peggiore privazione di libertà. E quando a vigilare sul rispetto di tali regole è, implacabile Cerbero, la Donna tra tutte le donne, la Madre? Quale peggiore carceriere! Ne ” La casa di Bernarda Alba ” di G. Lorca la madre relega le sue cinque figlie nell’isolamento di un lutto che deve durare otto anni per la morte del padre. Otto anni durante i quali “….. non entrerà, in questa casa il vento della via. Facciamo conto di aver murato coi mattoni porte e finestre. ” Come evadono le figlie di Bernarda Alba, le cinque sorelle condannate da Lorca ad un palpito straziante che porta il nome di un uomo, pomo di una tragica discordia? Evadono pensando ad altre sorelle. Tre. Le sorelle di Lorca diventano le sorelle di A. Checov. Ma solo per scoprire che anche loro vivono in un luogo che non amano e dal quale vorrebbero fuggire. I ricordi di Olga, Irina e Masa, le loro origini, non appartengono a quella provincia russa ma alla grande citta ” A Mosca, a Mosca! “, meta lontana e irragiungibile alla quale solo il desiderio, moto dell’anima, ricongiunge. Anche loro prigioniere di una grigia esistenza fatta di rinunce, vagheggiano un’altra casa, un calore di focolare, un’operosità che dia senso alla vita. Forse anche loro vagheggiano altre sorelle meno dolenti, sorridenti, figure da quadro naif: quello di L.M. Alcott, le quattro sorelle de ” Le piccole donne ” che si allontanano dalla loro casa ma per farvi sempre ritorno. Jo lamenta, insieme alle sorelle di Lorca la triste condizione di essere donna. Una scarpa troppo stretta per i piedi di Cenerentole scalpitanti. Come altre sorelle, questa volta vere, realmente esistite: Charlotte, Emily e Anne Bronte. Sorelle prigioniere di un isolato mondo fatto di “…lande le cui colline sono solcate da rugosità improvvise che rivelano la nuda roccia… ” E così, la neve, la campagna, il sole infuocato diventano brughiera. Racconti come quelli delle tre vegliatrici de ” Il marinaio” di Pessoa…e così via…un continuo rimando ad altre sorelle come in un gioco di scatole cinesi. Ogni scatola cerca rifugio in un’altra che la contiene ma che, proprio perchè la contiene, ne diventa prigione. Sorelle che arrivano da climi diversi, s’incontrano. Serrate in tanti piccoli spazi si parlano, si raccontano segreti e desideri. Uno eternamente comune a tutte le donne: incontrare il principe azzurro. E a volte succede che anche un fratello potrebbe incarnarlo. Proprio il principe azzurro di Cenerentola, quello dell’antica favola. Ma vagheggiare è sogno. E la realtà? Eccola, servita su un piatto d’argento. E se dinanzi a questa deludente portata tutte le sorelle strappassero il principe azzurro e tantassero di evadere? Cosa accadrebbe se Bernarda Alba, madre matrigna e padre spietato, diventa anche doppio di se stessa. Essa stessa padrona e serva contiene la sua serva Ponzia, alter ego che la serve e che lei mette ogni volta a tacere perchè a nulla le possa servire. Diventa Bernarda e Alba e con irritato stupore assiste a quelli che lei definisce ” deliri da gatte in calore “delle figlie. Sue prigioniere. E non riesce a capire dove corre la mente di una donna imprigionata. Questa messa in scena è uno studio intorno a quattro testi teatrali, un romanzo, una biografia e un “cunto” da G.B. Basile per un totale di diciannove sorelle, un esercizio di salti e sospensioni tra quelle pagine alla ricerca di analogie e sentimenti comuni. Un lavoro di cucito come quello a cui Bernarda e la matrigna costringono le loro figlie. Il mio, ovviamente, non è stato una costrizione ma un vero spasso.

Gea Martire