PAOLO BORSELLINO – ESSENDO STATO (2004)

ASSOCIAZIONE CULTURALE TEATRO SEGRETO
BENEVENTO CITTA’ SPETTACOLO

con il sostegno di
IMAIE – Istituto per la tutela dei diritti degli Artisti Interpreti Esecutori

presentano
Massimo De Francovich
in
Paolo Borsellino Essendo Stato

scritto e diretto da
Ruggero Cappuccio

con
Connie Bismuto-Francesca Caratozzolo -Paola Greco- Silvia Santagata -Ada Totaro

Musiche
Marco Betta

Scene
Carlo Rescigno
Progetto immagini
Eseguite dal vivo
Ciro Pellegrino
Assistente alla regia
Miriam Liguoro
Edizioni Musicali
Casa Ricordi Milano
Costumi
Salvatore Salzano
Luci
Michele Vittoriano
Fonica
Carmine Acconcia
Foto di scena
Tommaso Le Pera

“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace per poterlo cambiare”.
Con questa breve riflessione Paolo Borsellino svela il senso più segreto del suo essere uomo e del suo essere giudice.
La sua giovinezza e gli anni difficili della sua maturità sono ispirati ad una tensione vitale che oscilla tra passione per la memoria e progetto instancabile per una costruttività del futuro.
La sua singolare esperienza esistenziale porta con sé i tratti inequivocabili dell’eroe. Un eroe moderno. Un eroe lontano dalle tentazioni della retorica.
Un eroe che si batte senza armi contro le armi; senza violenza contro la violenza; senza protervia contro omicidi, stragi, tradimenti.
Forte unicamente della sua spiazzante lealtà intellettuale, di un intuito espresso a livelli altissimi, Paolo Borsellino è l’incarnazione di eroe psicologico in grado di sacrificare il proprio corpo e i propri affetti per un’idea: la giustizia.
Questo profilo di un artefice umano che costruisce il proprio coraggio per donarlo agli altri ha affascinato i grandi tragici dell’antichità, le letterature di tutti i tempi e di tutto il mondo. Le esistenze di Borsellino e Falcone hanno operato un mutamento insolito.
Per molti giorni, per mesi, per una tenace minoranza tutt’oggi, gli italiani hanno assistito e partecipato con entusiasmo e dolore ad una vera e propria reincarnazione di ideali ispirati alla giustizia che deviazioni politiche e mafiose avevano tacitato sotto la polvere di una pretesa retorica. Lo Stato, l’appartenenza dei cittadini ad esso, l’equità, il coraggio, sono passati dallo stadio vuoto delle “parole” a quello limpido e inarrendevole dei “fatti”.
I cinquantasette giorni in cui Paolo Borsellino vive dopo la morte a Giovanni Falcone, fanno del giudice sopravvissuto un uomo solo, accerchiato da elementi deviati dello Stato e della politica, da Cosa Nostra e dall’indifferenza collettiva come prodotto culturale raffinatissimo atto a seppellire la verità.
Senza Falcone, senza l’uomo che Borsellino stesso definiva “il suo scudo”, il magistrato elabora la certezza matematica della propria fine.
A più riprese disegna come imminente la propria morte a colleghi ed amici con allusiva eleganza. Malgrado ciò rimane. Rimane in Sicilia, rimane a Palermo, rimane fedele a un’idea, a Falcone, a sé stesso. A condividere la sua coscienza della fine è innanzi tutto il mondo femminile, composto da sua madre, sua moglie, sua sorella, le sue figlie, oltre naturalmente a suo figlio Manfredi. Questa partecipazione silenziosa al destino di chi combatte in una sfida con un finale già scritto, torna a parlarci di una consapevolezza tutta classica in cui alla dignità dell’eroe fa riscontro la dignità di chi dovrà piangerlo e continuarlo ad amare nell’assenza del corpo.
La messinscena di Ruggero Cappuccio allinea accanto a Borsellino le figure di cinque donne, Antigoni, memorie di un’infanzia perduta intesa come età della perfezione, della bellezza. Il femminile distilla un’idea calda e solare della terra, in una parola della Sicilia stessa.
Il lavoro si sviluppa in un concentrato di suoni e immagini tese ad esaltare il contrasto tra la spudorata bellezza dell’isola e i suoi umori notturni. L’ironia si rivela come una qualità in grado di percorrere il dramma per svelarlo con più forza e più direzionalità in tutta la sua crudezza.
L’azione prende l’avvio dal diciannove luglio 1992. Alle ore sedici e cinquantotto in via D’Amelio, a Palermo, un attentato pone fine alle vite del giudice e degli uomini che lo stavano proteggendo: Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi.
Nell’ultimo decimo di secondo tra l’esplosione e la morte, Paolo Borsellino ricompone memorie e sogni della sua vita. Parla, racconta. Dubita di essere ancora vivo. Dubita di essere già morto.
La messinscena deflagra in dodici movimenti, quanti sono quelli di uno Stabat Mater, addensando frasi, sussurri, visioni. Ed è appunto uno Stabat Mater doloroso, la prima parte. Il giudice, quell’ultimo giorno, andava a far visita a sua madre: una madre consapevole, metafora e incarnazione del dolore cosciente e fiero di un’altra Sicilia, di quella più invisibile e più vera.

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Senza-titolo-2L’IMAIE, l’Istituto per la Tutela dei Diritti degli Artisti Interpreti Esecutori, ha tra i suoi scopi quello di promuovere le iniziative degli Artisti che diffondono tutte le espressioni dello spettacolo in Italia e all’Estero.